You don’t get the gold without the dragon

Lo Hobbit è stato il mio primo romanzo: avevo nove anni e quell’estate ne ridisegnai una versione a fumetti sul retro di una trentina di fogli già usati da un lato. La storia di Smaug mi restò impressa e ha segnato l’immaginario della mia infanzia estendendosi poi a tutto l’incredibile mondo creato da Tolkien.
Ho scoperto di recente Jordan Peterson (tramite Marco Montemagno) e credo che questo video spieghi bene perché i draghi siano così importanti nelle nostre vite. E mi ha ricordato la frase di un altro grande saggio dell’Inghilterra dello scorso secolo:

“Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi esistono. I bambini sanno già che i draghi esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi.”
Gilbert Keith Chesterton

Band of Brothers

Questo monologo sarà di ispirazione per le settimane che ci aspettano. Per “non mollare” e aiutarsi a “non mollare”. (E magari per vedersi l’omonima serie tv forse datata ma molto bella, prodotta da Tom Hanks e Stephen Spielberg: qui il trailer).

Siamo nei pressi di Azincourt, il 25 ottobre 1415, prima di una battaglia decisiva. Le forze in campo sono proporzionate: 35.000 Francesi contro 6.000 Inglesi. L’esercito di Enrico V è abbattuto, sa che una vittoria è impossibile in quelle condizioni: combattere su un suolo straniero contro un esercito molto più numeroso e attrezzato. E allora Enrico V parla e fa un discorso straordinario. Risponde ad alcuni, fra cui suo cugino, che rimpiangono di non essere in un numero maggiore.

«Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.
In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio.
Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.
Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravvivrà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano.
Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: “Domani è San Crispino”; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino”. Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati.
Noi pochi. Noi felici pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!».

Enrico V, Shakespeare

Qui, il monologo tratto dall’Enrico V di Kenneth Branagh

Frailty, thy name is woman – Hamlet act 1 scene 2

Un testo mai letto prima, sei ragazzi, un palco improvvisato e la magia accade: lo spettro del padre di Amleto che comincia a passeggiare e scrutarci come se stesse aspettando le nostre voci da secoli. Sedicenni che non sapevano di poter dar vita a dialoghi così potenti, increduli di fronte a tanta bellezza liberata in un pomeriggio genovese qualunque, eppure…

Abbiamo sperimentato la lettura ad alta voce, copione alla mano, come si fa a Hollywood al primo incontro tra attori che hanno firmato per un nuovo film. Abbiamo letto, improvvisato, interpretato e il tempo non bastava. Atto primo, scena prima, seconda e terza (sì, perché la terza ci sta anche se siamo in ritardo, guarda quanto è corta).

Nessuno voleva andarsene, ma abbiamo dovuto interrompere, gli usi di questo mondo chiamavano con insistenza. Ma non c’è pericolo: è stata solo la puntata pilota di una nuova serie. Amleto aspetta, suo padre pure, ci vediamo settimana prossima, ma non ci trovate su Netflix.

E per chi avesse nostalgia, ecco un passo che farà venir voglia di (ri)leggere:

AMLETO – Oh se questa troppo troppo putrida carne potesse sciogliersi,
o se l’eterno non avesse decretato
il suo comandamento contro il suicidio. O Dio, Dio,
come fiacchi, stantii, flaccidi e inutili
mi sembrano tutti gli usi di questo mondo!
Che orrore, oh orrore, è un giardino pieno d’erbacce
che va in seme, cose ripugnanti e volgari in natura
lo possiedono tutto. Che si dovesse arrivare a questo –
morto soltanto da due mesi, no, non da tanto, non due –
un re così eccelso, in confronto a questo
un Iperione con un satiro, così amante di mia madre
che non avrebbe concesso ai venti del cielo
di visitare il suo volto troppo bruscamente. Cielo e terra,
debbo io ricordare? Che si aggrappava stretta a lui
come se il suo appetito crescesse
mentre se ne cibava, eppure in un solo mese –
non ci devo pensare – fragilità, il tuo nome è donna.

 

HAMLET – O, that this too too solid flesh would melt
Thaw and resolve itself into a dew!
Or that the Everlasting had not fix’d
His canon ‘gainst self-slaughter! O God! God!
How weary, stale, flat and unprofitable,
Seem to me all the uses of this world!
Fie on’t! ah fie! ‘tis an unweeded garden,
That grows to seed; things rank and gross in nature
Possess it merely. That it should come to this!
But two months dead: nay, not so much, not two:
So excellent a king; that was, to this,
Hyperion to a satyr; so loving to my mother
That he might not beteem the winds of heaven
Visit her face too roughly. Heaven and earth!
Must I remember? why, she would hang on him,
As if increase of appetite had grown
By what it fed on: and yet, within a month–
Let me not think on’t–Frailty, thy name is woman!–

Jam session

Ieri abbiamo iniziato le “jam sessions” culturali con un gruppo di liceali-filosofi. L’idea è che ognuno porti un pezzo, sia una poesia, un’opera d’arte, una canzone, la scena di un film, la pagina di un romanzo o di un fumetto: denominatore comune un messaggio di verità e bellezza, un senso che questo frammento di cultura ha consegnato a chi lo propone. Per condividerlo e generare anche negli altri contemplatori-filosofi nuovi spunti. Creatività e domande virali.

Ed è stato subito così, già con il primo test.
Abbiamo iniziato con i Muse, Thought Contagion (testo e traduzione) e il loro video delirante anni 80. Ci ha parlato di politica, di pensiero dominante, di contagio, mainstream e di ribellione. Non male come opening.

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E abbiamo chiuso con un grande classico, Who wants to live forever (testo e traduzione). Citazioni sparse appuntate da un (ex-)fan dei Queen mentre guardavamo il video (liturgico al punto giusto):

What is this thing that builds our dreams
Yet slips away from us?

Who dares to love forever?

Who waits forever, anyway?

E se le riposte che cercano i filosofi-sedicenni sono queste, abbiamo fatto centro.
Jam session da ripetere!

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