Band of Brothers

Questo monologo sarà di ispirazione per le settimane che ci aspettano. Per “non mollare” e aiutarsi a “non mollare”. (E magari per vedersi l’omonima serie tv forse datata ma molto bella, prodotta da Tom Hanks e Stephen Spielberg: qui il trailer).

Siamo nei pressi di Azincourt, il 25 ottobre 1415, prima di una battaglia decisiva. Le forze in campo sono proporzionate: 35.000 Francesi contro 6.000 Inglesi. L’esercito di Enrico V è abbattuto, sa che una vittoria è impossibile in quelle condizioni: combattere su un suolo straniero contro un esercito molto più numeroso e attrezzato. E allora Enrico V parla e fa un discorso straordinario. Risponde ad alcuni, fra cui suo cugino, che rimpiangono di non essere in un numero maggiore.

«Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.
In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio.
Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.
Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravvivrà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano.
Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: “Domani è San Crispino”; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino”. Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati.
Noi pochi. Noi felici pochi. Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!».

Enrico V, Shakespeare

Qui, il monologo tratto dall’Enrico V di Kenneth Branagh

A cosa serve la pubblica istruzione?

14 anni dopo, questo video mantiene ancora tutta la sua originalità. I numeri non sono per sé significativi di grandi contenuti, ma 64 milioni di visualizzazioni fanno di questo TED, “il” TED sull’educazione. E le domande che solleva sono provocazioni che possono aiutare a riflettere sulla scuola e l’educazione dei prossimi quindici anni.

Consiglio anche uno sguardo agli interventi successivi dello stesso Ken Robinson:

E anche Bring on the learning revolution

Di seguito un assaggio del primo video:

Ogni sistema di istruzione ha la stessa gerarchia di materie. Ognuno. Non importa dove vai. Credi che sia diverso, ma non lo è. In cima ci sono le scienze matematiche e le lingue, poi le discipline umanistiche e in fondo l’arte. Ovunque nel mondo. E, più o meno, anche all’interno di ogni sistema. Esiste una gerarchia nelle arti. L’arte e la musica occupano una posizione più alta nelle scuole rispetto a recitazione e danza. Non esiste sistema educativo sul pianeta che insegni danza ai bambini ogni giorno, così come insegniamo la matematica. Perché? Perché no? Credo che sia importante. Credo che la matematica sia molto importante, ma altrettanto la danza. I bambini ballano tutto il tempo se possono, noi tutti lo facciamo. Abbiamo tutti un corpo, o no? Mi sono perso qualcosa? (Risate) In verità, ciò che succede è che, quando i bambini crescono, noi iniziamo a educarli progressivamente dalla pancia in su. E poi ci focalizziamo sulle loro teste.

Se tu visitassi il sistema educativo da alieno e ti chiedessi “A che serve la pubblica istruzione?” credo che dovresti concludere – vedendo il risultato, chi ha successo in questo sistema, chi fa tutto quel che deve, chi viene onorato, chi sono i vincitori – credo che dovresti concludere che lo scopo dell’istruzione pubblica in tutto il mondo sia quello di produrre professori universitari.

Il nostro sistema educativo è basato sull’idea di abilità accademiche. E c’è una ragione. Tutto il sistema è stato inventato – in tutto il mondo non c’erano scuole pubbliche prima del XIX secolo. Furono create per venire incontro ai fabbisogni industriali. Quindi la gerarchia è fondata su due idee. Numero uno: che le discipline più utili per il lavoro sono in cima. Voi probabilmente siete stati benignamente allontanati da cose che vi piacevano da bambini a scuola, sulla base che non avreste mai trovato un lavoro facendo quello, no? Non fare musica, non diventerai un musicista; non fare arte, non sarai un artista. Avvisi benevoli – ma ora profondamente sbagliati. Il mondo intero è in subbuglio. E, punto secondo, è l’abilità accademica che oggi domina la nostra idea d’intelligenza, perché le università hanno creato il sistema a loro immagine. Se ci pensate, tutto il sistema della pubblica istruzione, in tutto il mondo, si concentra sull’ammissione all’università. E la conseguenza è che tante persone di talento, persone brillanti, creative, credono di non esserlo. Perché alla cosa per la quale erano bravi a scuola non le si dava valore, o era perfino stigmatizzata. E credo che non ci possiamo permettere di andare avanti così.

Nei prossimi 30 anni [ad oggi ormai 15], secondo l’UNESCO, si laureeranno più persone al mondo di tutte quelle che si sono laureate dall’inizio della storia. Più persone, ed è la combinazione di tutte le cose delle quali abbiamo parlato, la tecnologia e il suo effetto di cambiamento sul lavoro e la demografia e il grande incremento della popolazione. Ad un tratto i titoli di studio non valgono nulla, non è vero? Quando ero studente, se avevi una laurea avevi un lavoro. Se non avevi un lavoro era perché non ne volevi uno. E io, francamente, non ne volevo uno. (Risate) Ma oggi giovani con una laurea in tasca spesso sono a casa a giocare con i videogame, perché ti serve la laurea specialistica dove prima ti serviva quella normale e adesso ti serve il PhD per l’altra. È un processo di inflazione accademica. E ci indica che tutta la struttura educativa si sta spostando sotto i nostri piedi. Dobbiamo ripensare radicalmente la nostra idea di intelligenza.

Focus & flow

There is one aspect of happiness that’s been well studied, and it’s the notion of flow. Ask yourselves, when for you does time stop? When are you truly at home, wanting to be no place else?
(M. Seligman)

Qualcuno la chiama “golden hour” (ma non è l’alba né il tramonto dei fotografi), alcuni sportivi la chiamano “the zone”. È quel momento (che può durare anche parecchie ore), in cui entriamo nel flow, uno stato mentale e fisico in cui siamo completamente concentrati, una cosa sola con l’azione che stiamo svolgendo.
Il centometrista ai blocchi di partenza, in tensione totale, una cosa sola con la pista, pura tensione dai chiodi delle scarpe alla punta capelli; il lettore mentre è immerso nel suo romanzo e non ha orecchi né occhi per tutto quello che succede attorno; l’artigiano mentre intaglia il legno e dimentica completamente di dover mangiare; il bambino sul tappeto che gioca con i lego e la mamma lo deve chiamare dieci volte per cena.
È quello stato di focalizzazione assoluta, lontano da ogni distrazione, frutto di un lavoro di preparazione e dell’abitudine a concentrarsi e lavorare intensamente.

Può succedere anche nello studio. Basta organizzarsi, scegliere uno luogo adatto e un tempo minimo, almeno un’ora di fila (e senza cellulare, non raccontiamocela…).
E il bello è che funziona. E che si prova una gioia profonda, piacere puro, a dimenticarsi di sé e di tutto, dare il massimo e stare dentro le cose che stai facendo.
Farle e farle bene, un assaggio di felicità direbbe Seligman.

Non mollare!

Uno studente mi ha confidato una volta che durante l’ultima sessione d’esame ha guardato questo video ogni mattina appena sveglio per “caricarsi per lo studio”.
Marco Montemagno non direbbe mai di se stesso di essere un motivatore, ma tant’è… è un video che mi capita spesso di usare durante le presentazioni parlando di habits, perseveranza, grit… e un gruppo di liceali mi ha addirittura promesso una volta di registrarne una versione remixata. Sono ancora in attesa di ascoltarla su youtube, ma intanto, consiglio a tutti l’originale, dai 12 anni in su.

Come si cambia il mondo?

Le cose piccole fanno la differenza. Anche quando sei impegnato in missioni da cui dipende davvero qualcosa di grande. E se vuoi cambiare il mondo, inizia da qui: metti in ordine qualcosa ogni giorno. Ogni giorno. Ogni giorno… sì, anche oggi.

È la storia che racconta l’ammiraglio William H. McRaven in questo video che da anni fa il giro del mondo. Un consiglio semplice e potente, per adolescenti, bambini, mamme, papà, sognatori e umani in generale.

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